Testimonianza 1

Sia lodato Gesù Cristo!

Sono contenta di aver quest’occasione per condividere con voi l’amore che Dio ha per noi tutti. L’amore di Dio per noi è unico. Lui ama me in modo speciale. Ama ciascuno e ciascuna di voi in modo speciale. Sta a noi testimoniare dell’amore personale di Dio verso di noi, rispondendo ognuno alla chiamata personale di Dio e vivendola con la massima fedeltà.

Ognuno di noi ha la sua precisa vocazione. Alcuni sono chiamati a servire Dio nella vita contemplativa monastica, come noi. Altri sono chiamati alla vita apostolica. Alcuni sono chiamati a vivere una vita celibe nel mondo, a vivere con la gente, a dare buoni esempi di vita secondo il Vangelo, e in modo particolare a far capire che ciò che sembra impossibile, una vita casta , sia invece possibile per quelli che Dio ha scelto per questo modo di vivere. E poi, la vita edificante che tanti conducono nel mondo, anche nello stato matrimoniale, parlada sé, ripetendo ciò che diceva San Paolo: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo”(1 Cor 11,1)

Vorrei incoraggiare i giovani che sono ancora in dubbio riguardo alla direzione da dare alla loro vita. O forse, avendo capito la chiamata di Dio, hanno paura di impegnarvisi fino in fondo. O ancora, si trovano in mille difficoltà perché la loro vocazione, in particolare se è una chiamata ad una vita di speciale consacrazione a Dio, come quella per la vita monastica o sacerdotale o missionaria, è fortemente contrastata.

Anche io ho dovuto lottare assai per riuscire ad entrare in monastero. Non sto a raccontare tutta la mia storia in dettaglio. Dico soltanto ciò che segue:
La chiamata di Dio mi si è fatta sentire da piccola. Avevo appena dieci anni quando nella mia città natale di Ozubulu, in Nigeria, furono ordinati insieme due preti. Il giorno della loro Prima Messa, molti altri preti hanno concelebrato con loro. Al momento dello scambio del segno di pace, il modo con cui si abbracciarono e si baciarono mi ha colpito tanto. Da quel giorno mi è venuto il desiderio di farmi monaca. Ma prima di riuscire nel mio intento, quanti contrasti ho dovuto incontrare! E specialmente da un mio parente che era allora ancora seminarista.

Superate le scuole elementari e medie, ero decisa di seguire la mia chiamata alla vita monastica, ma questo mio parente seminarista era decisamente contrario alla mia entrata in monastero. Il mio babbo e i miei fratelli e sorelle che già s’immaginavano che io avrei voluto farmi monaca, ancorché non gli avevo ancora accennato, si erano messi in testa di farmi sposare ad ogni costo. Nel frattempo, all’insaputa di tutti, io avevo avuto contatti con il monastero benedettino di Umuoji, in Nigeria, ed era già fissata la data del mio ingresso. Perciò ho cominciato a chiedere aiuto finanziario a persone estranee per poter comprare l’occorrente per il monastero. Ultimate le preparazioni, ed essendo il mio parente seminarista ritornato a casa per le vacanze natalizie, l’ho consultato di nuovo, perché non ho voluto disobbedirgli. Gli ho chiesto il permesso di entrare in monastero. E il Signore Dio ha fatto in modo che lui fosse pienamente d’accordo. E così sono entrata in monastero il 27 dicembre.

Sono rimasta un anno intero nel monastero all’insaputa dei miei altri familiari. Solo che, un altro mio parente seminarista che conosceva la nostra Madre Badessa, veniva di tanto in tanto a trovarla. E la Madre mi portava al parlatorio per salutarlo. Ma lui non sapeva che i miei familiari mi stavano cercando, perché lui abitava sempre in seminario. Un bel giorno lui è venuto in monastero accompagnato dai suoi genitori, che sono i miei zii. Appena mi hanno riconosciuta e vista con l’abito monastico, sono stati presi da grande stupore, e mi hanno spiegato come tutti i familiari mi stavano cercando, e che il mio babbo piangeva sempre, pensando che qualche giovane di quelli che mi avevano chiesto la mano, mi avesse portata via con la forza. L’indomani, questi miei zii, sono ritornati in monastero accompagnati dal mio babbo. Vedendomi con l’abito monastico, e con la bellezza di Dio brillare sulla mia faccia, il babbo, che prima non ha voluto sentire che io volessi farmi monaca, in quel momento lì si inginocchiò dicendomi: “Ciò che la tua mamma aveva tanto desiderato di vedere, e non ha avuto la sorte di vederlo, i miei occhi lo stanno vedendo adesso. Che il Signore mi porti là dove sta la tua mamma, per poter raccontarle la storia di tutto ciò che è successo!” Quando il mio babbo è ritornato a casa, ha scritto ai miei fratelli e sorelle. E poi loro sono venuti in monastero, uno per volta, a visitarmi.

Ho passato 14 anni felici nella mia terra, nel servizio diretto di Dio, nel monastero, in Nigeria. Ma dopo, la Provvidenza ha voluto trapiantarmi, insieme ad altre giovani monache provenienti dallo stesso monastero e dalla stessa nazione, in questo monastero di Urbania, dove ho continuato a servire Dio felicemente, e, piacendo a Lui, continuerò a servirlo tutti i giorni della mia vita. A Lui solo onore e gloria. Amen.